“La realtà è tale solo quando non viene afferrata concettualmente:
il frutto del nostro pensiero non è la realtà”.

Accogliere la natura delle cose…

Accogliere la natura delle cose, uno dei pilastri fondanti del pensiero Zen, consiste nel vivere la pienezza di un istante attraverso un’esperienza spirituale che ti porti direttamente al cuore della realtà.
Andare al cuore della realtà è anche, al contempo, una via poco percorsa: a lei si preferiscono le strade della comprensione logica e dell’elaborazione concettuale, lontane da quel seme di umanità e spiritualità che (nel profondo di noi) attende da sempre di schiudersi e venire alla luce.
Lasciare cadere l’abitudine all’automatico pensiero concettuale è come scartare un regalo: significa andare al di là dell’attraente e luccicante involucro di carta esterno per valorizzare così ciò che ogni istante, al cuore dell’esperienza, porta con sé. Il punto di partenza è la consapevolezza che il regalo non sia la carta esterna ma il contenuto, profondo, di ogni interazione (con te, con il mondo).

…nel concreto dell’esperienza.

«Accogliere la natura delle cose è uno dei pilastri fondanti del pensiero Zen…»

Nello studio da cui scrivo (proprio qui, sulla finestra vicino a me) c’è un fiore illuminato dal sole che filtra attraverso i vetri.
Andare alla natura delle cose significa che, quando riconosco la presenza del fiore sul davanzale, entro in armoniosa comunione con lui: il mio naso ed il fiore diventano una cosa sola quando lascio il suo profumo inebriarmi e così fanno anche i miei occhi, quando permetto alla sua bellezza di raggiungermi.
Non descrivo inconsciamente il fiore con aggettivi che richiedano un’elaborazione mentale, né mi chiedo quanto a lungo possa durare la sua fioritura: vivo invece un’intensa esperienza che mi porta, per qualche istante, a diventare tutt’uno con il fiore e la sua natura.
È una comunione profonda che, accessibile solo nella pienezza del momento presente, parte dal cuore per andare a risvegliare la mia natura spirituale: la stessa natura che, con il fiore e con il mondo intorno a me, sento intimamente di condividere.
In quell’istante in cui il tempo si dilata, il cuore si commuove e l’anima si risveglia la mente è fuori scena, in silenzioso riposo: non ho bisogno dei suoi tentativi di rappresentare il fiore quando sono intrecciato spiritualmente al fiore stesso, al cuore della realtà.

L’elaborazione mentale? Una via divergente.

L’elaborazione logica e concettuale di un’esperienza allontana dalla piena realtà così come, ad esempio, lo studio dei processi biologici di un orgasmo preclude la pienezza dell’esperienza stessa: non c’è pienezza nell’orgasmo (che perde anche il suo valore spirituale) se si lascia spazio, in quell’istante, all’elaborazione concettuale.
Concettualizzazione e pienezza dell’esperienza sono antagoniste ed immiscibili: la prima è una via che allontana dalla seconda.

Tornando al fiore sul davanzale, l’elaborazione concettuale allontana dal cuore della realtà poiché:

  1. ricorre ad aggettivi che (per quanto accurati si sforzino di essere) possono solo provare a descrivere gli aspetti esteriori dell’esperienza (la carta del regalo), senza riuscire a raggiungerne il cuore.
    Il fiore è «bello, simmetrico, elegante, delicato»: parole che classificano e dividono, etichettano e separano; altro non posson fare poiché originano esse stesse dalla separazione tra soggetto (tu) ed oggetto osservato (fiore).
    Alle parole frutto dell’elaborazione concettuale manca la vibrante intensità che prova l’osservatore nel riconoscersi un tutt’uno con l’oggetto osservato, al cuore dell’esperienza;
  2. conduce lontano dal momento presente: descrivere concettualmente il fiore prevede di richiamare un’esperienza del passato per eseguire (inconsciamente) un paragone tra questo fiore e tutti gli altri fiori simili già incontrati in precedenza.
    Descrivere la realtà è ricercare similitudini e differenze tra ciò che c’è e ciò che hai già incontrato: così facendo è preclusa l’esperienza di vedere e vivere il presente con occhi nuovi, con gli “occhi di un bambino” che ancora conosce la meraviglia, immerso nella pienezza di un istante da vivere con stupore proprio perché unico ed irripetibile.

La vita non è una rappresentazione di se stessa: è energia che si schiude nell’intensità di ogni consapevole istante per mostrarsi, a chi ancora ha occhi da bambino, in tutta la sua indescrivibile bellezza.

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